mercoledì 22 ottobre 2014

«Le faremo sapere» - racconto breve

È un sonnacchioso pomeriggio qualunque di un giorno qualunque nella Millenaria Capitale. Ma mentre tutto il decadente Impero Che Fu anela disperatamente l'invasione barbarica che ponga fine alla sua insopportabile agonia, c'è un bugigattolo nel sottoscala di un palazzo immenso che ostenta con ingiustificata protervia le glorie dei tempi passati dove si sta decidendo la sorte di un manipolo di casi umani illusi di poter diventare qualcuno, da lì a poco.

Dentro è un tripudio di cravatte sgargianti con nodo Tecnocasa, abiti in finto acrilico che emettono scintille al contatto con lo sguardo, minigonne, tacchi vertiginosi, trucchi alla Pennywise e acconciature alla «No, Maria, ora però se Gennifer si ostina a farsi pagare le cene da Chevin senza nemmeno ventilare l'ipotesi di lasciarsi carotare la filippa sul sedile posteriore di un'Audi, io lascio lo studio e me ne torno a sudare sotto i bagnini di Ladispoli». Il tutto riveste alla bell'e meglio ascelle e inguini che in molti casi non vedono un pezzo di sapone dai tempi di Mauro Serio star di Solletico.

Fuori, invece, in un silenzio spettrale e pesante come afa ferragostana, un plotone di esecuzione di selezionatori annoiati di default dovrà lavorare alacremente per far sì che l'imminente decimazione in stile Cadorna possa continuare ad essere chiamata "casting" anche nel caso, improbabile ma imponderabile, di un'ispezione a sorpresa da parte dell'ONU.

Mi guardo intorno.

C'è la cicciona orrenda che però è solare e bella dentro, anche se il fuori è talmente agghiacciante che su di lei non infierirebbe neppure il fake di Gasparri su Twitter. Per farsi un'infarinatura sul modello proporzionale con sbarramento al 4% legge ogni settimana l'oroscopo di Rob Brezsny, sgranocchiando il Pil del Belgio in maritozzi.

C'è la barely-phyca dal culo di marmo, le gambe chilometriche, un paio di tette illegali in almeno 14 stati dell'Unione, gli occhioni da mamma-di-Bambie-un-attimo-prima-del-cacciatore e un visetto che, così, a occhio e croce, sotto gli strati di biacca spalmati con la cazzuola del babbo decoratore d'interni, sarebbe anche grazioso, non fosse che ora somiglia più a Moira Orfei quando insegnava agli elefanti di Annibale Barka a camminare in fila indiana su per il Monginevro. Lei non sa niente di niente su niente, ma è qui perché convinta che il suo profilo destro possa aprirle un sacco di porte. Così come l'ostentata dimestichezza con il lato delle scrivanie non esposto al sole.

C'è il piacione pettinato col grasso di balena, camicia aperta su petto villoso e un doratissimo Cristo Redentore dei Pettorali che annaspa nel suo Golgota ipertricotico, chiedendosi se una Passione sola non era già più che sufficiente. Lui è un veterano di questo genere di meeting, o almeno così dice alle barely-phyche che flappano le ciglia attorno a lui generando una brezza che sembra il mare a settembre. Lui spiega a tutti come si fa, come bisogna comportarsi, cosa bisogna dire, a chi bisogna sorridere e a chi fare la battuta ad effetto. Il fatto che, nonostante la sedicente pluriennale esperienza in materia, il Nostro sia ancora qui a provarci, indica chiaramente quale sia la mole del cumulo di stronzate che spara, ma il dubbio non passa per la testa a nessuno.

Di sicuro non al bracciante ripulito nel vestito della domenica che si meraviglia per le luci al neon e chiede se c'è anche Pippo Baudo.

E nemmeno alla desperate commessa Ipersidis alta un metro e un citofono (ma quello di una villetta a schiera) che vuole assolutamente dire la sua sulla Finanziaria. Perché lei i soldi veri li maneggia tutti i giorni, e parla con la gente. Che poi smazzi i resti di biglietti da 20 ed elargisca consigli su pomodori pelati e assorbenti, è un dettaglio trascurabile in questa sede dove nulla dev'essere ciò che sembra.

Tutti, un giorno, pretenderanno che lo Stato paghi loro una pensione sufficiente a comprare l'ultimo iPhone. E lo Stato acconsentirà a farlo, perché tanto i voti sono i loro e i soldi invece sono vostri.

Tutti, oggi, sono qui per il provino. Il PROVINO. PRO-VI-NO. Tre semplici sillabe che il 65% dei presenti non sarebbe in grado nemmeno di compitare correttamente, ma che solleticano corde la cui musica ammalia più del canto di mille sirene. E mica un provino qualunque.

Nient'affatto, signore e signori. Qui si cercano opinionisti. Gente chiamata ad elargire opinioni non richieste e del tutto irrilevanti su argomenti sconosciuti, dinanzi a milioni di persone che per ascoltarle attraverso un teleschermo pagano laute parcelle nonostante al baretto sotto casa si dicano cose molto più interessanti, e per giunta gratis. Non so se mi spiego.

Che cosa ci faccio qui? Beh, prima di tutto la disoccupazione è una gran brutta bestia, signora mia. Ti lascia troppo tempo libero per pensare alle tue miserie, e una volta che hai finito le lacrime in tasca, le birre sottomarca in frigo e gli argomenti di conversazione con l'amico immaginario, la vita si fa dura e la noia incombe. In secondo luogo, non sono poi tanto diverso dagli altri, eh. Il mio quid, anche qui in mezzo, si riduce a ben poche cose. Ho solo un blog, per esempio. Ma quello ce l'hanno anche le shampiste che disquisiscono di femminicidio e sperimentazione animale con tante maiuscole e punti esclamativi. Ah, e poi ho un pollice opponibile che mi permette di aggiornare il mio blog anche da mobile. Che, se proprio vogliamo essere pignoli, le shampiste sovente non hanno. Quindi uno ci prova. Mal che vada c'è sempre la birra sottomarca in frigo e tutto il resto.

Ora basta chiacchiere, però. Inizia il provino. Silenzio.


(Spigliato, naturale, telegenico, per nulla impacciato. 
Insomma, sono andato benissimo)

Com'è andata a finire, poi? Beh, più o meno come sempre. «Le faremo sapere».

Tranquilli, vi aspetto. Tanto non ho impegni, e il telefono è sempre a portata di mano. Ah, quasi dimenticavo... Complimenti per la trasmissione! Mia mamma la segue sempre, è un così bel programma.

Ps Comunque una delle barely-phyche ha flappato potentemente le sue bellissime ciglia grondando ammirazione nei miei confronti quando in una sola frase sono riuscito ad inanellare, senza nemmeno sudare, un periodo ipotetico dell'irrealtà e due subordinate.

Poi, però, siccome io tornavo a casa in treno, e un altro tizio invece aveva la Volvo Cabrio con proprietario della concessionaria ancora seduto sopra, non ho avuto l'opportunità di sublimare l'ammirazione in qualche altro bene di prima necessità con un filino più di mercato.

Pazienza.

Magari mi farà sapere pure lei.

giovedì 9 ottobre 2014

Conigli per gli acquisti


Ormai fare marketing sulle spalle di noi 30enni è diventato come sparare sulla Croce Rossa. O come picchiare un anziano che caga, se preferite i francesismi.

Fateci caso: da qualche tempo a questa parte sugli scaffali dei supermercati, nelle vetrine dei negozi, dietro i banconi dei bar, è tutto un fiorire di redivivi prodotti protagonisti della nostra infanzia, o della nostra prima adolescenza, e che ora vengono riproposti tali e quali come ce li ricordavamo.

E non è che ai direttori del marketing laureati alla Bocconi e MBAti Oltreoceano manchino le idee, nient'affatto. Anche se di tanto in tanto scivolano su vaccate mostruose come il Biscottone inzupposo (per l'amor di Dio, gente... Un po' di dignità!) sono più vispi e pimpanti che mai. Anzi, hanno avuto l'idea geniale: colpire duro là dove sai di fare più male.

Perché noi 30enni siamo una generazione in bilico. Senza lavoro, senza una casa, senza una famiglia nostra, senza grandi prospettive per il futuro, o comunque con una serie di brutte copie delle cose di cui sopra. E vedere una confezione blu mare di Yo-Yo che occhieggia dallo scaffale del Pam è come rannicchiarsi in posizione fetale sotto un piumone emotivo mentre fuori piove, fa freddo, tira vento e il meteo della sorte scatena il peggio del proprio tonante e lampeggiante repertorio.

È qui che ti fregano. Compri quella maledettissima confezione di dolcetti perché il tuo subconscio abbocca come un tonno alla mattanza di Favignana, convincendoti che con un solo morso di quel residuato gastronomico di un ventennio fa tu riacquisterai come per incanto tutta la felicità, la gioia e la spensieratezza dei tuoi 12 anni. Sbucciature sulle ginocchia comprese. Altro che marketing, gente: questi sono metodi da spacciatore di crack. «Fatti un tiro, bellezza. Sentiti qualcuno».

Si dirà: beh, ma se un dolcetto era buono per un bimbo di 20 anni fa, sarà buono anche per un bimbo di oggi.

Balle.

Ogni generazione ha la sua merendina preferita, perché di una merendina non è solo la crema e il pan di Spagna che mangi, ma lo status. Ieri addentando un Tegolino o un Cucciolone assaporavi il gusto del proibito, perché il più delle volte "facevano male ai denti" e la mamma era restia all'acquisto quanto a farti stare alzato dopo "Striscia la Notizia". Oggi, invece, di una merendina, si assapora il gusto della sibaritica consapevolezza che dopo quella ne potrai mangiare un'altra, un'altra, e poi un'altra ancora. A strafottere. Perché siamo qualcuno in base a quanto grossa la facciamo fuori dal vaso, bitch. Anche a merenda.

Ecco perché i figli del Nuovo Millennio sono fuori target per Winner Taco & compagnia bella. I bambini di oggi puntano ad altro. A cosa non so, ma il fatto che nessuno di loro si fiondi da Mediaword in cerca di DOOM II solo perché c'è da sparare a mostri alieni urlanti mi fa sospettare che nessuno di loro impazzisca nemmeno per le Girelle solo perché dentro c'è un po' di cioccolata.

È noi che vogliono, i bastardi. È al nostro magro portafogli con più biglietti da visita che banconote che stanno puntando. Perché sì, è proprio come per le tasse: saremo anche straccioni, ma siamo tantissimi. E fottutamente vulnerabili.

martedì 28 gennaio 2014

È tutta colpa delle multinazionali


Questo racconto è liberamente ispirato al caso Stamina.

Dove si trova il confine tra genio e idiozia? Cosa spinge masse di persone normali a individuare un nuovo messia in un uomo assolutamente insignificante? Davvero un’idea sciocca diventa una buona idea se piace alla maggioranza? Ecco un racconto che non risponde a nessuna di queste domande.

CAP. 1

Gunter Gruber, 51 anni, una folta capigliatura grigia che scende con studiata trasandatezza su una professorale giacca di tweed, è un insegnante di yoga della bassa Turingia.

La vita di Gunter procede placidamente, senza troppi scossoni. Ma, per quanto il lavoro gli consenta un’esistenza dignitosa e, di tanto in tanto, piacevoli avventure con qualche allieva abbastanza naive da lasciarsi convincere ad approfondire anche in altra sede il complesso meccanismo dell’apertura dei chakra, l’insegnante di yoga si annoia. È ambizioso, vuole di più dalla propria esistenza. Capisce che lasciar scorrazzare fuori dai pantaloni il serpente kundalini non è la massima aspirazione di un uomo. Ci sono anche i soldi, tra le cose che contano. E, con questi, la fama. Ottenute le due cose, poi, non servono nemmeno più le
fregnacce orientaleggianti per portare a letto qualche sbarba, magari di gran lunga migliore delle casalinghe provinciali cui Gunter è abituato.

Ma Gunter non è ricco, non è particolarmente intelligente, né particolarmente istruito, e il passare degli anni lo allontana sempre più anche dall’essere particolarmente bello, cosa che gli riusciva difficile anche in gioventù. Allora che fare? Occorre un’idea. Di quelle sensazionali. Talmente potente da trasformare il più insignificante degli uomini comuni in un astro di livello mondiale. E, un bel giorno, l’idea arriva.

Trionfante, di buon mattino, sbarbato di fresco nel suo abito migliore, Gunter sale sul suo vecchio Maggiolone azzurro e corre dritto a Wolfsburg, sede centrale della VolksWagen, decisissimo a farsi ascoltare, anche senza appuntamento, dall’amministratore delegato della più grande casa automobilistica europea, unica al mondo davvero in grado di far vedere i sorci verdi sul mercato mondiale persino ai giganti dagli occhi a mandorla. Gunter è sicuro che, davanti ad un’idea come la sua, nessun cancello può restare chiuso. Per questo Gunter punta in alto. Anzi, punta alla vetta, sicuro che nulla possa frapporsi tra lui e
il successo.

***

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