venerdì 22 febbraio 2008

Vive la France!


Mi perdonino i cugini d'Oltralpe, se possono, ma questa è davvero impagabile. (fonte: Nonciclopedia)


"...In campo militare, specialmente durante la Seconda Guerra Mondiale i francesi hanno inventato e perfezionato tecniche di guerra come per es. "bandiera bianca" oppure il tasto "escape". Fin da quando sono reclute, i soldati francesi imparano a dire "mi arrendo" in almeno una decina di lingue, tra le piu popolari tra i nemici. In più affrontano un "corso di collaborazionismo" di durata quinquiennale, ma è assai raro considerando che il 99% dei francesi acquista questa capacità attraverso il latte materno.
I carri armati francesi sono dotati di quattro marce indietro e una in avanti (nel caso il nemico li attaccasse alle spalle). Ecco il dettaglio i tipi di marce:
Avanti:
"Avant!" (traduz. "ci sono i polacchi davanti a noi, faranno tutto loro. seguiamoli e ci beccheremo delle medaglie")
Retromarce:
"A rebours, monsieur": (traduz. "un soldato tedesco a piedi! Scappiamo! - potrebbe graffiarci la verniciatura")
"A retour!" (traduz. "un soldato tedesco a piedi con una granata! Via! Via! - potrebbe rovinarci la carrozzeria")
"Merde!" (traduz. "un cannone tedesco! Si salvi chi può! Facciamo fare tutto ai Polacchi, tanto le medaglie le assegneranno a noi!")
"Sacrebleu!!!" (traduz. "carrarmato tedesco! Rott! Scappiamo!")
nota di natura tecnica: quest'ultima marcia veniva usata solo in caso di gigantesca superiorità bellica del nemico, es. un carrarmato leggero tedesco danneggiato vs. 150 carrarmati pesanti francesi perfettamente funzionanti.
I carri armati francesi inoltre sono equipaggiati di
specchietti retrovisori per poter vedere cosa succede sul campo di battaglia. I francesi hanno reso popolare il giubbotto antiproiettile per le spalle.
Inoltre, i fucili moderni in dotazione all' "esercito" francese sono dotati di una particolare cartuccia che, una volta premuto il grilletto, espelle la classica bandierina con scritto "mi arrendo" in 6 lingue diverse (quindi non è raro vedere i bravi soldatini francesi esporre queste amenità nel bel mezzo di uno scontro a fuoco).
Le promozioni nell'esercito francese vengono assegnate in base alle rese (più facile era la guerra da vincere, meglio è). I francesi hanno sconti e carte fedeltà in tutti i campi di prigionia del mondo
".

mercoledì 20 febbraio 2008

L'apoteosi

martedì 19 febbraio 2008

Achmed the dead terrorist

lunedì 18 febbraio 2008

Archeologia


Oloturia, capitale del regno sfinteride, piccolo stato dell'Asia mezzana (tra l'Asia Maggiore e l'Asia Minore), ospitava un tempo il prezioso sarcofago di re Ioppolino II, terza meraviglia del mondo dopo il tempio di Toto Cutugno e le caccole di Garrone.

Fu scoperta dal tedesco Heinrich Schliemann, durante una serie di scavi archeologici su un sito egizio (http://www.piramidi.com/). Lo studioso, già noto per aver rinvenuto in Anatolia i resti di una meretrice malconcia, che lui infatti ribattezzò "Le rovine di Troia", giudicò il ritrovamento di importanza pari a quello delle sue chiavi di casa di quella volta che non si ricordava più dove le aveva messe.

L'insediamento di Oloturia presenta una pianta ogivale, forse in onore della famosa dea greca celebrata anche da Omero nei versi iniziali della sua Iliade ("Cantami Ogiva del pelide Achille l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli achei...").

La sua fondazione risale alle prime invasioni barbariche dell'Europa, nel lontano 1047 a.C.C.n.c.a.u.a. (Avanti Cristo, Cristo non c'è, avanti un'altro), quando i Celti si sparpagliarono per il vecchio continente, andando celti di qua e celti di là. Alcuni di essi, raggiungendo in autobus il Libano e trovandovi un territorio che li faceva stare bene d'umore, divennero Fenici e contenti. Poi, da abili commercianti qual'erano, introdussero il denaro in luogo del baratto e divennero dunque contanti.

Una fallita rivoluzione, repressa nel sangue, costrinse i congiurati a fuggire di là dal mare, e a fondare una nuova città: Sanzio. Questa, grazie ad un ardimentoso piano regolatore che la portò in breve tempo a raddoppiare la sua estensione, divenne Bisanzio.

Attualmente dell'antico borgo fortificato rimangono solo un'edicola e un distributore di sigarette, che però non dà resto.

mercoledì 6 febbraio 2008

Osteria numero venti


In attesa che questo capolavoro debutti nelle sale, desidero rendervi edotti intorno ad un interessante mito che affonda le sue ancestrali radici nei primordi della civiltà umana: il mito della Vagina Dentata (che è un termine latino e non inglese, quindi non provate a leggerlo "V'giaàaina Dintèitei").

Per venire incontro alle vostre notoriamente ridottissime capacità mentali, e per risparmiarmi l'aberrante fatica di rinfacciarvi ancora una volta tutta la vostra abissale ignoranza in fatto di cultura classica, ho tratto la definizione del termine direttamente da Wikipedia, detta anche la "Britannica" del mentecatto o la "Treccani" del minus habens.

"La locuzione latina vagina dentata deve la sua fama nel mondo occidentale in primo luogo a Sigmund Freud, che lo trovava particolarmente corrispondente alle sue teorie sull'ansia da castrazione".
Ah, giusto per la cronaca: Freud è quello che tra una vaccata e l'altra tipo questa ha anche trovato il tempo per inventare la psicanalisi. Che uomo dalle mille risorse, neh?
"Freud diede questo nome al fenomeno, ispirato da varie leggende riguardanti donne con vagine che contenevano denti o altre armi, con le quali erano in grado di uccidere o castrare il partner".
Poi, un giorno, un'equipe di scienziate svizzere scoprì la sintesi chimica dell'emicrania. Da allora non occorse più inventare castronerie così bislacche come quelle di una patonza con le ganasce da squalo per evitare di essere trombate dal proprio marito.

"Queste immagini (le patonze ganasciute, ndr) appaiono frequentemente in miti provenienti da zone anche molto distanti fra loro, come la costa nord-occidentale del Nord America e l' Asia sud-orientale, dove le leggende riguardanti la rimozione dei genitali sono molto diffuse. Le Sheela Na Gig, immagini femminili provenienti dall'Irlanda e dalla Gran Bretagna, sono da vedersi come un'immagine del sesso femminile vorace e minaccioso anche se sprovvisto di denti.
Secondo la studiosa Barbara Walker, questo mito ha dato origine alla rappresentazione nell'Europa
medievale della porta dell'Inferno vista come una gigantesca bocca, storia che serviva anche da metafora del rischio di contrarre malattie attraverso rapporti sessuali con donne sconosciute". O, anche, del rischio di sposarle, queste donne sconosciute. La cui madre, spesso, è ancora più sconosciuta. E pericolosa. E amante della cucina marchigiana a base di qualunque cosa sia molto fritta nell'olio. E "Ma dai, tesoro, resterà con noi solo quindici giorni, che cosa vuoi che sia..."

domenica 3 febbraio 2008

L'assalto


L'aria è quella fredda e tetra di un pomeriggio invernale. Piove. Le casacche verdi delle schiere che ondeggiano in masse disordinate in attesa della pugna sembrano pesare più dell'acciaio sotto la spinta dell'acqua che le intride. Le rosse brache, tutte uguali come i giachi di tela, sono già imbrattate del fango del campo di battaglia. Solo le insegne, candide, sormontate da un nero corvo, sembrano le uniche a risplendere ancora, sui vessilli come negli incitamenti scanditi da un estremo all'altro del campo.
La fanteria affonda nella melma fino alla caviglia, è fradicia di intemperie, infreddolita, già stanca delle lunghe marce e delle fatiche del giorno precedente. Qualcuno porta addosso i segni di altre mille battaglie, qualcun altro si trova gettato per la prima volta in quell'agone. Ma l'armata si è addestrata da un anno an questa impresa, si sente invitta e invincibile, e anche il più giovane tra le reclute non cambierebbe per nulla al mondo il suo posto sulla prima linea dello schieramento.

Noi ci siamo. Senza indossare la stessa uniforme, senza avere in cuore lo stesso ideale, senza bramare la stessa vittoria. Male armati e peggio addestrati di chi ci sta accanto. Ma è l'odore dellla lotta che ci ha richiamati lì, che lì ci trattiene, ci incatena, ci avvince. E ci motiva come, e forse più di ciascuno degli altri.

La piazza è stretta, angusta, con i muri delle antiche case patrizie che incombono su di essa da ogni lato. E' una piccola piazza di una città medievale come tante, ma che oggi è diversa dalle altre. Perché oggi ci sarà battaglia. Fino a che non ci sarà più nulla da scagliare, o nulla da colpire. Fino a che il rombo sinistro dell'ultimo carro nemico non si sarà disperso in lontananza.

Incoraggiarsi l'un l'altro, distribuire le armi, prendere posto, litigare al commilitone il posto più avanti nello schieramento. C'è un ordine quasi meticoloso nel caos che predede lo scontro. E poi vedere finalmente all'orizzonte, che si avvicina. Lui, loro, il nemico.

Sui carri, catafratti dai pesanti elmi bruniti, alcuni coi cimieri già fradici e appesantiti dal rosso tributo di precedenti lotte. Laggiù, lontano, in altre piazze, contro altri fanti. Loro sono il nemico. Grandi, enormi, terribili, imprendibili dietro le loro postierle mobili. Una dopo l'altra, le immense e minacciose macchine da guerra si avvicinano, trainate da giganteschi bretoni dalla lunga criniera che sembrano sputare fuoco anzichè fiato dalle froge, sospinte da mille voci, urla, bestemmie, incitamenti, imprecazioni. I destrieri scalpitano, ma non più di quanto non abbiano già fatto fino a quel momento i fanti che li attendevano.

Una dopo l'altra, le lignee testuggini degli invasori sfondano le fragili difese sul ponte, soltanto pallida avvisaglia di quello che li attenderàpochi metri più avanti. Irrompono nella piazza e lì, finalmente, danno battaglia. Le fanterie partono all'assalto, si lanciano all'attacco delle murate che le sovrastano anche di due volte, scagliando contro gli occupanti i loro strali, i dardi che in perfette e letali traiettorie fendono il bianco del cielo con bagliori che paiono di fuoco. Sono attimi, ma che paiono eterni. Il fragore della lotta è insostenibile.

Poi tutto cessa, così com'era iniziato. Una dopo l'altra, inesorabilmente, le macchine fuggono, inseguite ancora dai più agguerriti, che le bersagliano con le armi rimaste a terra dagli assalti precedenti. Fino all'arrivo del prossimo carro.

Si combatte fino al tramonto. Il vermiglio umore lasciato dal passaggio dell'armi nemiche si confonde col vermiglio lasciato sul nemico dalle proprie. Il fiato è corto, il braccio dolente, la vista annebbiata. E' stata vittoria, oppure si è dovuto soccombere? Non conta. Ciò che conta, per tutti, è che c'è stata battaglia.




Che bello il carnevale di Ivrea!


venerdì 1 febbraio 2008

Gang Bang

(sulle note di "Bang Bang - My baby shot me down", Nancy Sinatra)

I was 'lone and they were six
They wore masks, had nacked sticks
They were black and I was white
For that interracial fight

Gang bang, they tied me down
Gang bang, ten cocks in mouth
Gang bang, I thought I'd died
Gang bang, my bra was ripped down.

So they started the "hit me hard"
When I started feeling fine
They were horny, huge and high
"Beware babe: we're gonna play"

Gang bang, they rode all night
Gang bang, they took me high
Gang bang, my mom was wrong
Gang bang, I had to do before.

Music played, and angels sang
Just for me, ten orgasms blown.
Now they're gone, I don't know why
And till this day, sometimes I crave
They didn't even say goodbye
No matter how I screamed "again".

Gang bang, they rode all night
Gang bang, they took me high
Gang bang, my mom was wrong
Gang bang, I had to do before.



(thanks to Oslo)