mercoledì 20 febbraio 2013

I Miserabili sono quelli seduti in platea


Sono andato al cinema a vedere Les Misérables. Non credo di poter dire che siano stati i 7,50 euro peggio spesi della mia vita (una volta ho comprato la Smemoranda), ma di sicuro mi piacerebbe tantissimo riaverli indietro.

Ecco un breve estratto di quello che secondo Tom Hooper avremmo dovuto vedere


Ed ecco quello che invece si vede in realtà. In loop. Per due ore abbondanti


Ma il peggio del peggio del peggio era che con questa lagna fotonica di sottofondo (non dissimile dai lamenti di un gatto sventrato con un paio di forbici da pescatore) dovevo anche sorbirmi i commenti ad alta voce di quelli che non avevano mai letto il romanzo in vita loro. Tipo la coppia di giovini zitelle alle mie spalle che ha esclamato «Oh no!» quando Jean Valjean ha rubato l'argenteria al vescovo. E va beh. Quando poi però una delle due è arrivata a supporre che Marius (pronunciato Màrius, giusto per aggiungere orrore a raccapriccio) potesse essere il nipote di Valjean, confesso di aver pregato con tutto il mio cuore che Breivik irrompesse nella sala armato di Colt M4. Con un sacco di munizioni.


lunedì 11 febbraio 2013

Dimission: Impossible

 
Il 7 gennaio 2010 mister Antonio Conte ha rassegnato le proprie dimissioni dal ruolo di preparatore atletico dell'Atalanta. Poteva farlo perché lui è un allenatore. Sergio Marchionne, qualora un domani si stancasse di farsi fresare gli zebedei dalla Cgil e preferisse lanciare una nuova collezione di maglioncini blu scuro, potrebbe dimettersi da Amministratore delegato della Fiat. Potrebbe farlo perché lui è un manager. Un annetto e mezzo fa si è dimesso persino Silvio Berlusconi. Sì, va bene, ci ha messo un po' a decidersi, ma alla fine ha scoperto che, in quanto Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, era sua prerogativa farlo. E, del resto, l'aveva già fatto una volta. Insomma, poteva farlo perché era Presidente del Consiglio.
 
Papa Benedetto XVI, aka Joseph Ratzinger, invece, non si è dimesso. Perché lui è un Pontefice di Santa Romana Chiesa, e non può farlo. Checché ne dicano i top trend di Twitter, Giulia Innocenzi, o anche una fetta (ahinoi) consistente di giornalisti italiani che se trasferissero il loro domicilio in una miniera di rame non farebbero un'ombra di danno, infatti, un Papa non si dimette. Un Papa ABDICA. Ripetete con me: abdica. Ab-di-ca. Facile, no? Perché un Papa non è un allenatore di calcio, non è un amministratore delegato, non è un Presidente del Consiglio, non è Giulia Innocenzi, e non è nemmeno il tesoriere della bocciofila (altra figura per la quale le dimissioni sono contemplate, sapevatelo).
 
Un Papa è un monarca. E un monarca, da che mondo e mondo, non si dimette, ma ABDICA. O, al massimo, citando pedissequamente quanto riportato dal Diritto canonico, «rinuncia al suo ufficio». E non quello con la scrivania e i ficus, ma quello di guida spirituale della Chiesa Cattolica.
 
Quindi, per favore, piantatela di nebulizzarci le gonadi con fotoniche minchiate. Perché un Papa non si dimette, abdica. E non saranno certo i top trend Twitter (e neppure Giulia Innocenzi) a cambiare questo dato di fatto. Fatevene una ragione.
 
Oppure dimettetevi, se vi fa sentire meglio. 

domenica 3 febbraio 2013

Django p' 'a capa

Mangiare pollo fritto è l'unico stereotipo sui neri che vi risparmierò nelle prossime ore
 
Anche a costo di scatenare l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei, lo dico: a me 'sto Django Unchained ha fatto relativamente petare. Dico relativamente perché non tutto è da buttare, anzi. L'interpretazione di Cristoph Waltz vale da sola il prezzo del biglietto, e quella di Leonardo Di Caprio, forse uno dei più grandi attori che il cinema abbia mai conosciuto, sebbene si porti dietro come una condanna l'essere stato il belloccio di Titanic che poi alla fine muore, non è da meno.

Ma tutto il resto è tremendamente lassativo.

Django si potrebbe recensire con una sola parola: troppo. Troppo lungo, troppo cruento, troppo tamarro, troppo stereotipato, troppo inverosimile, troppo sopra le righe in ogni contesto. Troppo troppo. Ma siccome siamo su Internet e laggente vuole essere spiegata, andrò un pochino più nel dettaglio.

Mettiamola così: di solito, un cinquantenne in crisi di mezza età si compra la moto e la giacca di pelle. Quentin Tarantino, invece, ha scritto prima Inglorious Bastards e poi Django Unchained.
 
Sì, lo so, Tarantino ha diretto cose come Pulp Fiction, Le Iene e Kill Bill (roba che gli garantisce l'immunità diplomatica nei secoli dei secoli amen, anche qualora un giorno dovesse sequestrare un autobus di scolaretti e farsi saltare in aria investendo la Galleria degli Uffizi). Tarantino alla mia età scriveva la sceneggiatura di Natural Born Killers, e aveva fatto l'aiuto regista di Una vita al massimo (cit. il mio rude amico Paul Sabbathicus), mentre io mendico l'attenzione di qualche nottambulo della rete con un blog per mentecatti.  Ma perché approfittarsene? Perché farsi prendere dalla smania holliwoodiana di fare i film impegnati, per poi accorgersi che a te vengono meglio i massacri, e allora prima giri una specie di Schindler's List con le sparatorie, le coltellate gravemente invalidanti e le detonazioni e poi propini un remake di Continuavano a chiamarlo Trinità dove repentine eviscerazioni per lo più immotivate prendono il posto delle scazzottate con sottofondo degli Oliver Onions? Perché ostinarsi ad oltrepassare ogni limite del ridicolo, solo per il gusto di vedere quanto tempo passerà prima che qualcuno alzi la mano e ti chieda: «Mr. Tarantino, what the fuck 're you doin'?». Perché, Dio del Cielo, perché?

Lasciamo perdere il fatto che si ambienti un film qualche anno prima della Guerra di Secessione, ovvero nell'era delle armi ad avancarica e della polvere nera, e poi a un certo punto tutti comincincino a sforacchiarsi allegramente con carabine Winchester a ripetizione e Colt Frontier di almeno una quindicina d'anni più tardi. Pazienza. Questi sono dettagli su cui si può chiudere un occhio, specie quando devi portare in sala soprattutto gente che non saprebbe distinguere gli indiani di Little Big Horn dai giapponesi di Guadalcanal, visto che hanno entrambi gli occhi vagamente a mandorla e parlano con i sottotitoli.
 
Ma quando Jamie Foxx si dimentica che il quarterback ribelle di Ogni maledetta domenica è stato sì un bel personaggio, però che cazzarola c'entra con il West?, allora comincia a diventare troppo. Django sarebbe perfetto in una battaglia di rap contro il Dr. Dre, ma laggiù nel Montana tra mandrie e cowboys stona come un tizio in bermuda fantasia ad un vernissage del Rotary. Ti da sempre l'impressione che da un momento all'altro voglia montare le sospensioni molleggiate al cavallo, verniciare un bel paio di fiamme sulle fiancate e poi andare a fare "boing-boing-bella-yo-maddafakkah" per impressionare le discinte squinzie dei sobborghi di Inglewood, quelle che ti parlano alzando l'indice e roteando la testa nell'espressione di disappunto tipica delle minoranze etniche da telefilm. Persino lo sceriffo di Mezzogiorno e mezzo di fuoco risulta immensamente più credibile. Anche più divertente, santo cielo.
 
E poi, cribbio, CENTOSESSANTACINQUE MINUTI di film posso già digerirli a stento per un nanerottolo dai piedi pelosi che si accorge di avere i testicoli e butta la sorpresa del suo uovo di pasqua nel Vesuvio solo per far dispetto al cattivone con la congiuntivite, ma non certo per vedere te che liberi tua moglie dalle grinfie di quattro imbecilli sdentati che sparano come bovari. 
 
Signor Tarantino, la prego: si goda la meritata gloria rimorchiando vagonate di figa nei bar di Los Angeles, o trollando le giurie di ogni santo festival del cinema che Dio manda in terra nei quattro angoli del globo, ma non ci faccia più scherzi del genere. Lasci le vaccate ai registi italiani. Glielo chiedo in ginocchio. O finirà per dirigere qualcosa del tipo And they call it summer, magari con Rosario Dawson al posto di Isabella Ferrari. E allora sarà davvero troppo tardi.