mercoledì 22 agosto 2012

Giustizia sportiva: le coliche finali



Diceva Karl Marx che la storia si ripete sempre due volte: la prima sotto forma di tragedia, la seconda sotto forma di farsa. Probabilmente, se il padre del socialismo avesse conosciuto come funziona la giustizia sportiva italiana, si sarebbe dovuto ricredere: qui quando la storia si ripete è sempre e solo come farsa.

Emblematico, in questo senso, il caso dell’allenatore juventino Antonio Conte, condannato in primo grado a 10 mesi di squalifica per omessa denuncia di presunte combine nei match Novara-Siena e Albinoleffe-Siena, quando ancora Conte allenava i bianconeri toscani. Il tutto sulla base esclusiva di accuse mosse dall’ex calciatore e sedicente “pentito” Filippo Carobbio. Accuse, tra l’altro, mai verificate dai fatti, prive di un qualsivoglia appiglio probatorio, e per giunta smentite da tutti gli altri giocatori senesi che avevano sempre sollevato Mr. Conte da qualsiasi responsabilità. Ciononostante, per la giustizia sportiva italiana, che funziona un po’ come i vecchi tribunali della Santa Inquisizione, l’onere della prova ricade sull’accusato, e non sull’accusatore. Basta che qualcuno punti il dito, insomma, per finire in guai molto seri. Così, secondo i giudici di primo grado, l’allenatore juventino, con il suo piglio così dirigista e autoritario, «non poteva non sapere» quello che si stava tramando negli spogliatoi. E tanto era bastato per spiccare una sentenza di condanna.

Ma questo, della farsa, è stato soltanto il primo atto. Il secondo si è registrato stamani, con la lettura della sentenza d’appello: «La Corte di Giustizia Federale presieduta da Gerardo Mastrandrea ha accolto 5 ricorsi di club e tesserati, in alcuni casi parzialmente, contro le sentenze di primo grado emesse dalla Commissione Disciplinare Nazionale in relazione ai filoni del calcio scommesse relativi alle inchieste condotte dalle Procure di Bari e Cremona. Per effetto delle decisioni (...) è stata parzialmente riformata la decisione su Antonio Conte, prosciolto per la gara Novara-Siena, ma squalificato per 10 mesi in relazione ad Albinoleffe-Siena con una rideterminazione della sanzione rispetto alla decisione della Commissione Disciplinare». In poche parole, pur dimezzando l’impianto accusatorio a carico di Conte rispetto al primo grado, ne ha mantenuto il peso della sanzione finale. Raddoppiando, di fatto, la pena per l’unico dei due illeciti contestati rimasto in piedi.

Mister Conte se ne faccia una ragione: la giustizia sportiva in Italia non esiste. Inutile dunque strapparsi i capelli riconquistati con così tanta fatica. Se però esiste una giustizia divina, o per lo meno un destino beffardo a sufficienza da rendere la pariglia alla beffa di una sentenza delirante, potrà tornare a sedere sulla panchina della sua Juventus giusto in tempo per disputarsi la finale di Champions League.

1 commento:

Alessandro ha detto...

qualcuno mi spiega il perché del punto di penalità che ha preso il Torino quando nessuno dei giocatori granata dell'anno scorso era coinvolto e quelli coinvolti finiti nella rosa quest'anno sono stati assolti?