giovedì 9 agosto 2012

Schwazer, i forconi e la sindrome di Bambi



Il giorno in cui è stata diffusa la notizia che Alex Schwazer, campione olimpico in carica nella 50 km di marcia, era stato squalificato per doping, c'era una fetta consistente di italiani che avrebbe voluto impiccarlo al pennone più alto, manco fosse il pirata Barbanera. Per poi dopo scuoiarlo, metterlo sotto sale, e sacrificarne i resti al dio azteco della guerra Qegakdkjahgsegcachkthsuhavatl. Persino la frangia italiana di Anonymous, che di recente si sta occupando di tutto tranne che di fare il lavoro di Anonymous, e invece mette il becco ovunque manco fosse lo spin doctor di Daniele Capezzone e Alda D'Eusanio, ha voluto firmare a modo suo la firma nel linciaggio mediatico dell'ex eroe decaduto al rango di caccapupù nazionalpopolare.

Il giorno dopo, quello dell'intervista al Tg1, della confessione in eurovisione, delle lacrime e dell'autoflagellazione pubblica, quella stessa fetta di italiani voleva strapazzarlo di coccole come Topo Gigio, e consolarlo a suon di carezzine sul capino biondo e paterne pacche sulle magre spalle scosse dai singhiozzi e dai conati del rimorso. Dal mostro di Rostov a Bambi, nell'arco di 24 scarse.

A questo punto i casi sono due: o sono io che sono strano, cosa che non mi sento di poter escludere a priori, oppure l'opinione pubblica pullula di teste di cazzo. Sta di fatto che dopo due giorni di questa merda proprio non ce la faccio a sopportare anche la terza puntata, quella dello sdegno comprensivo, e della retorica del ragazzo «cinico e ingenuo» (che, se per caso non ve ne foste accorti, equivale per coerenza a definire uno «sionista e antisemita») che oggi anima gli editoriali della stampa buonista e, diciamocelo, anche un po' bigottona.

Che cosa ne penso io? Ammesso che glie ne freghi davvero a qualcuno, penso che Schwazer sia solo un debole. Non un criminale, non un santo, né un peccatore redento. Soltanto un debole. Con tutto ciò che questo comporta. Vi pare poco? Non lo è. Perché Schwazer non ha scelto di fare il panettiere, il postino, il barista o il professore di matematica. Ha scelto di fare lo sportivo. E lo sport è l'ultimo fenomeno umano dove, seppur sotto forma di allegoria, si palesa in tutta la sua magnifica e inarginabile potenza la selezione naturale: i più forti vincono e si prendono tutto, i gregari si accodano al vincitore sul podio per brillare della sua luce riflessa, e per tutti gli altri sono solo lacrime e stridore di denti, fino all'inevitabile trapasso. Metaforico e allegorico, of course, ma pur sempre trapasso. Per farla più semplice: lo sport è competizione, ergo lo sport ai massimi livelli significa competizione ai massimi livelli. E chi non ce la fa, cade.

È brutto? È ingiusto? È politicamente scorretto? È disapprovato dal Moige? Ma per la miseria, è sport. Chi mai si appassionerebbe ad una mammoletta che si lamenta per il male ai piedi o perché gli avversari lo prendono in giro? Chi tiferebbe per il folle che manda all'aria di proposito la gara della vita, fosse anche per una nobile causa come sensibilizzare i tifosi su questo o quel male del pianeta? Santo cielo, persino gli atleti neri americani che protestavano contro la segregazione razziale hanno sollevato il pugno chiuso soltanto una volta sul podio, dopo aver fatto un culo così al resto del mondo, e non prima. PRIMA hanno vinto, e POI hanno protestato. Perché «La gente vuole solo goal», come cantava sacrosantissimamente il profeta Helios. Perché l'importante è sempre stato vincere, alla faccia di quel grandissimo paraculo di De Coubertin, che se gli atleti lo avessero mai preso alla lettera oggi il record dei 100 metri piani lo deterrei io con un minuto e 45 secondi, una cocacola mezza sgasata in una mano, un doppio cheesburger nell'altra, e la mutanda smollata. Per questo un vero campione oltre al fiato, alle gambe (ma a volte non servono nemmeno quelle, Pistorius docet) e al talento deve avere carattere. Quel carattere che ti serve a reggere la pressione della sfida, a sopportare gli sfottò degli avversari, a capire quando è arrivato il momento di spingere al massimo e anche quando invece arriva il momento di dire basta.

Rispetto a tanti altri atleti, Alex Schwazer ha avuto il coraggio di prendersi le sue responsabilità, anche se mi resta il fiero dubbio che non l'abbia raccontata poi proprio tutta giusta. Sostenere che la dinamica che ci ha rifilato in rassegna stampa faccia acqua da tutte le parti, infatti, sarebbe come dire che Platinette non è proprio una donna. Ma vabbé, accontentiamoci della confessione in diretta nazionale così com'è stata. Rispetto a tanti altri atleti, però, Alex Schwazer non ha avuto il coraggio di essere un campione fino in fondo. E quindi A) giocarsi il tutto e per tutto su quel maledetto asfalto, senza aiutini chimici, e salutare la propria carriera venendo ricordato come l'ultimo atleta morto nel tentativo di difendere a tutti i costi un oro olimpico che amava più di se stesso; oppure B) salutare tutti con almeno due mesi abbondanti di anticipo, annunciando il ritiro per manifesta non-ce-la-faccio-più, e facendo un grande in bocca al lupo ai compagni di squadra, "con un grazie particolare al mio allenatore, alla mia fidanzata, alla mia mamma e al mio sponsor che mi sono sempre stati vicini".

Fine della storia.

3 commenti:

CD ha detto...

è proprio questo il problema.. la massa è idiota e si fa pilotare molto da media che non fanno altro che ricamarci sopra per lo share
in tv e nei quotidiani SOLO MONNEZZA, MONNEZZA ALLO STATO PURO

Alessandro ha detto...

Purtroppo l'opinione pubblica italiana è abituata a farsi influenzare e ad avere amnesie rapidissime, terminanti con l'assoluzione, dove ovviamente non assolvono chi ha commesso il fatto e poi è andato in tv a piangere pentito, senza aver in realtà cambiato una virgola di quello che ha fatto, ma loro stessi, le loro eventuali colpe, reali o immaginarie, passate o future, nel solito eccesso di buonismo tipicamente italico.
Schwazer si è semplicemente mostrato come un atleta mediocre che ricorre alla chimica per cercare di emergere al posto del campione che credeva di essere, nient'altro, nè un santo, nè un criminale, sotto un certo aspetto ha avuto pure fortuna che l'hanno beccato prima della gara, è molto meglio così che non vedersi revocata la medaglia, e comunque Carolina Kostner è troppo piatta.

andremany ha detto...

Mah, di tante retoriche ci mancava solo quella del darvinismo sportivo, del forte e del debole. E naturalmente anche questa è sballata. Un solo esempio: cercare su Google 'maratona olimpiadi 1908' e vedere se viene fuori il primo o l’ultimo (va bene anche in inglese: 'marathon 1908 olympics').