mercoledì 3 novembre 2010

"Giovinezza" e l'Alzheimer altrui


«Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza». Ogni volta che la sente intonare, chi scrive ha avvertito fortissimo un tuffo al cuore, di quelli che solo le emozioni forti sono in grado di regalare. Un tuffo al cuore ed un groppo in gola, che non va ne su e ne giù, che si ricaccia solo come si fa con le lacrime quando ci si commuove, e che tante volte l'ha fatto singhiozzare quando avrebbe dovuto cantarla lui stesso. Eppure, questo meraviglioso canto che l'anno scorso ha festeggiato cent'anni tondi tondi, sono riusciti a farcelo odiare, ricamandoci tutt'intorno un castello di bugie o, peggio ancora, di mozze verità.

Oggi, come se non bastasse, il libro della damnatio memoriae ha visto scrivere un'altra triste pagina. "Giovinezza" approderà forse a San Remo, il Festival della Canzone(tta) italiana, per essere esposto ancora una volta al pubblico dileggio in qualità di brano nero nero da contrapporre alla rossa rossa "Bella Ciao", nell'ennesima rifritta parodia di quel Guelfi&Ghibellini che piace tanto agli italiani da teleschermo. Ci ha pensato il direttore artistico del Festival rivierasco a gettare l'ennesima palata di oblio travestito da passione esegetica definendo "Giovinezza" un'opera canora «passata alla storia come inno del ventennio, ma che nacque come canzone della "goliardia" toscana nei primi del '900». E aggiungendo poi, quasi fosse una candid camera: «Sono molte le curiosità non conosciute legate a questi brani e noi le racconteremo». Raccontare la storia così com'è, direttore, potrebbe essere un ottimo inizio.
"Giovinezza" vide la luce tra il 1908 e il 1909, e a scriverla, assieme a Giuseppe Blanc, fu un certo Nino Oxilia, torinese, studente universitario e goliarda prima, giornalista, commediografo e soldato poi. "Giovinezza" era appunto un canto goliardico, ma della Goliardia vera, quella che nasce nell'Università, quella che è l'Università, perché ne canta la vita, la tradizione e gli ideali, prima ancora che libri ed esami, oggi troppo spesso ridotti ad un sudoku da statino. "Giovinezza" era il canto che gli studenti di Giurisprudenza torinesi, bontà di Mazzi, intonavano ogni qual volta un collega abbracciava l'intenzione malsana e un po' bislacca di abbandonare la vita studentesca per conseguire quella Laurea che ne avrebbe fatto un uomo, uccidendo il giovane. Un canto che solo molto più tardi il fascismo fece proprio, rabberciandolo con una retorica sciovinista con tanto moschetto e poco libro, come del resto era riuscito a fare di tante altre cose belle, giovani e italiane. Quasi tutte, del resto, all'infuori, guardacaso, della goliardia, che rimase tra le poche Istituzioni patrie in grado di continuare con coraggio, e una buona dose di astuzia, a farsi beffe del regime fino alla fine dei suoi giorni.

Nemmeno dieci anni più tardi, il torinese Oxilia avrebbe trovato ad opera di una granata austriaca una morte eroica, stavolta sì senza retorica, ai piedi del Monte Grappa, il 18 novembre del 1917. Era partito come tanti altri per difendere col fucile e la vita quello che aveva imparato ad amare col cuore e la spensieratezza decisa dei vent'anni: la libertà. La stessa cantata nella sua "Giovinezza". Senz'altro, se la sorte gli avesse dato modo di vivere più a lungo, da buon goliarda qual era Oxilia avrebbe sicuramente apprezzato le bellezze naturali toscane, specie quelle in sottoveste, così come i suoi vini superbi e i manicaretti da gourmet. Tuttavia mi sembra ugualmente una forzatura prendere quest'ipotesi come giustificazione per affibbiargli natali alieni agli originali.

Un caro amico mi ha detto che un tempo i filosofi e letterati erano dentro al mondo e ne vivevano il tumulto, mentre oggi letterati e filosofi, o sedicenti tali, vivono alla finestra e giudicano il tempo che passa. Credo che, tra un giro di clessidra e l'altro, i cattivi maestri di oggi potrebbero anche trovare il tempo per non dimenticare, per non lasciare che la polvere cada su tutto e su tutti, in attesa che qualcuno arrivi a giudicare il cimelio troppo polveroso e decida di mettere al suo posto qualcos'altro.

Certo, la storia di Oxilia e della sua "Giovinezza" è forse una piccola storia. Probabilmente un po' troppo piccola per i monumenti dedicati a tanti altri eroi morti come lui su quei campi di battaglia, dove col sangue di tanti giovani si potè finalmene scrivere ITALIA per intero, su milioni di carte geografiche e su altrettanti cuori. Forse un po' troppo piccola persino perché la sua produzione letteraria finisca nelle antologie scolastiche o nei saggi di tanta intellighentia moderna. Ma non abbastanza perché ogni anno, il 18 novembre, un pugno di romantici e scanzonati goliardi, torinesi e non toscani, con buona pace degli eroi-studenti di Curtatone e Montanara, rinunci a recarsi con un mazzo di fiori freschi e a cantare a squarciagola "Giovinezza" sotto la stele sbiadita che ricorda il suo vero autore, in via Garibaldi, ricacciando lacrime di commozione e groppi in gola, sfidando il freddo pungente, gli inquilini gelosi di quel balcone dal quale occorre affacciarsi per deporre i fiori, e gli sguardi indignati e attoniti di chi non conosce la storia e passa via mormorando "fascisti!".

Ad una manciata di settimane da quel 2011 in cui si celebrerà in gran pompa il 150° anniversario della Nazione, sarebbe forse il caso di cominciare ad infiocchettarle il regalo a cui tiene maggiormente, più di trombe, lustrini e tagli di nastri: una giusta memoria per i suoi figli migliori, quelli che hanno saputo amarla più di chiunque altro, fino a morire per amore.

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