Il est fou. Il est bizarre. Già. Nell'era post-bloggeriana dei social network siamo sempre più martellati DA pittoreschi indivudui o congreghe che, animati dalla sacra facie del giornalismo d'inchiesta, smaniano per informare le masse su tutto ciò che il regime tiranno e oscurantista vorrebbe impedire loro di apprendere. Eppure è ben strano che, quelle stesse masse schiavizzate assetate di informazione che suggono la preziosa conoscenza dalle penne mai dome di queste improvvisate gole profonde siano le stesse che, davanti ad un edicola, si limitano a sorseggiare di malavoglia l'almanacco del sudoku.
Bramiamo smaniosamente la libera informazione ma in realtà non sappiamo che farcene, anzi, ci fa anche un po' schifo. Altrimenti, se così non fosse, ci basterebbe leggere più giornali. Sì, perché se per informazione libera si intende la possibilità di conoscere ed essere aggiornati su ciò che accade, signori miei, allora siamo ampiamente serviti, e i canali sono così numerosi che c'è solo l'imbarazzo della scelta. Pensate, possiamo addirittura ammirare il panorama con le lenti colorate della sfumatura che preferiamo, se i prati sempre verdi e i cieli sempre azzurri ci vengono a noia. Ma se invece per informazione libera si intendono "Tutte le notizie così come l'ascoltatore di turno vorrebbe sentirsele raccontare, e non ha mai osato chiederle", beh, qui c'è un problema di fondo. Per lo meno a livello di significato.
Così come è c'è un problema di fondo, di nuovo, quando gli stessi che lamentano di essere tenuti all'oscuro di tutto da parte del mondo dell'informazione ufficiale poi non comprano un giornale nemmeno sotto la minaccia di una pistola spianata. Sfido io. E' un po' come la barzelletta del padre di famiglia napoletano sul lastrico che ogni mattina prega San Gennaro perché gli faccia vincere un terno al lotto, sino al giorno in cui il santo, esasperato, sbotta: "Ia', 'uagliò, e va 'bbuono, però ggiocace almeno 'na vota a 'sto lotto!".
Ultimo esempio, ma solo in ordine di tempo, la sfilza di presunti scoop del sito web Wikileaks, salito alla ribalta delle cronache semplicemente per aver raccontato tutte in una volta le notizie che, per sei o sette anni, giorno dopo giorno, gran parte dell'opinione pubblica si era semplicemente rifiutata di ascoltare, per disinteresse o per ignavia, dai canali di informazione ufficiali. Che, se ci pensate bene, è come se un ex studente svogliato e bigione, leggendo anni dopo il liceo un bel libro sulla Storia del Risorgimento, se ne uscisse con un: "Ehi, ma queste cose non me le aveva mai raccontate nessuno!". Ma sempre sulla stessa lunghezza d'onda, tanto per intendersi, viaggiano anche le cosiddette "rivelazioni" contenute nei sedicenti romanzi dell'autore americano Dan Brawn, forse tra i più abili minipimer di ovvietà che l'umanità abbia mai avuto il privilegio di conoscere.
E allora, specie nel Paese in cui meglio che in qualunque altra parte del mondo ci si rifiuta di leggere i giornali e poi si accusano i giornalisti (ma solo quelli veri) di non fare il loro mestiere, ecco fiorire come i bucaneve a marzo gruppi e gruppuscoli di agguerrite parodie della premiata ditta Woodward & Bernstein, che spopolano rivelando come esoteriche verità notizie vecchie come l'asse del cesso, oppure "pompate" a suon di steroidei dati fasulli per renderle più scandalose (ergo più appetibili) per le orecchie di chi solitamente disdegna cibarsi la semplice realtà dei fatti senza condimento e spezie, o ancora semplicemente inventate, con l'idea che la libertà di informazione sia un lasciapassare sufficiente e necessario ad interpretare il vero ad uso e consumo dello scrivente.
Infornare per resistere, dunque. E buon appetito a tutti.
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